Voices from the Front Line Against the Occupation: Interview with Palestinian Anarchists
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Stop the Genocide in Gaza! End the War on Palestine!
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Non ci piegheremo mai alla vostra barbarie: Stop al GENOCIDIO di Gaza
Il Movimento studenti palestinesi in Italia, UDAP-Unione Democratica Arabo Palestinese, Api-Associazione dei palestinesi in Italia e la Comunità palestinese di Roma vi invitano a partecipare alla manifestazione a
📍Roma-Via dei Fori Imperiali/Largo Corrado Ricci
🗓 23 dicembre
🕧 15.00
È inutile girarci attorno, e versare fiumi di parole superflue: la situazione a Gaza è disastrosa, orribile, aberrante.
Persino la comunità cristiana di Betlemme, culla della Natività e disattendendo una forte tradizione storica, ha annunciato che sospenderà i festeggiamenti pubblici del Natale come gesto di solidarietà nei confronti dei fratelli nella Striscia di Gaza, sotto assedio dell’esercito israeliano da oltre due mesi.
Due mesi di occupazione militare e di violenza inaudita hanno comportato oltre 17.500 vittime civili.
Si tratta di omicidi volutamente perpetrati dall’entità sionista per rendere Gaza un luogo desolato ed inospitale, inabitabile per i Palestinesi che lì dimorano da sempre: parte del più ampio piano israeliano di espropriazione e furto delle Terre palestinesi.
Israele ha sganciato, secondo il Washington Post, oltre 29.000 bombe, di cui il 45% non guidate o “dumb bomb” (bombe stupide).
Il suo scopo è dissuadere ogni altro nemico dal resistergli, rendendo doloroso ed elevato il calcolo di vite umane da dover sopportare in caso contrario.
Ma cosa ha ottenuto Israele, versando tutto questo sangue innocente?
Nulla, o poco più.
L’IDF, l’esercito israeliano, non pubblica notizie precise sui propri obiettivi raggiunti, ma resta anzi vago.
Dal loro punto di vista, neanche un ostaggio è stato liberato, i tunnel non sono distrutti, grossi depositi di armi non sono stati scovati, Yahya Sinwar – leader di Hamas all’interno della Striscia di Gaza – è ancora vivo e la Resistenza Palestinese è attiva.
Ora vaneggiano “l’arma magica” dell’allagamento dei tunnel, che “sicuramente” consegnerà loro la vittoria: una stolta illusione.
L’IDF arranca, l’invasione militare è un fallimento.
Ma a che prezzo di vite umane innocenti per i Palestinesi?!
Questi obiettivi, declamati sulla carta, in realtà sono solo uno specchietto per le allodole, che nasconde lo sterminio dei Palestinesi e l’annessione territoriale, veri scopi sionisti.
Tutto questo è reso possibile dal sostegno che pochi, ma influenti, attori internazionali perpetrano: gli USA, ponendo il veto ad una Risoluzione di cessate il fuoco e messa in sicurezza della popolazione civile venerdì 8 dicembre, continuano a macchiarsi le mani dello stesso sangue versato dai vili israeliani.
Che ce ne facciamo, dunque, delle convenzioni di guerra a tutela dei civili?
E della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che solo il 10 dicembre ha compiuto 75 anni?
Carta straccia nelle mani del potente di turno, che ne fa uso e consumo a proprio vantaggio ed interesse!
L’11 dicembre 2023, è stato indetto lo sciopero mondiale per la Palestina: continueremo a protestare sino a che la terra palestinese non sarà libera da ogni soldato e colono sionista, e finché Giustizia non sarà fatta sui macellai sionisti, dal Primo Ministro Netanyahu all’ultimo soldato di truppa.
Abbiamo bisogno anche di te: non voltare lo sguardo di fronte a questo GENOCIDIO.
Intifada fino alla Vittoria!
Dichiarazione congiunta di Hamas, PFLP, PIJ, DFLP e PFLP-GC
Intorno a mezzogiorno di oggi, 16 dicembre 2023 un cecchino dell’IDF ha ucciso due donne cristiane all’interno della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, dove la maggior parte delle famiglie cristiane sta trovando rifugio dall’inizio della guerra. Nahida e sua figlia Samar sono state uccise a colpi di arma da fuoco mentre si dirigevano al Convento delle Suore. L’una è stato uccisa mentre cercava di portare in salvo l’altra. Altre sette persone sono state colpite e ferite mentre cercavano di proteggere gli altri all’interno del complesso della chiesa. Non era stato diramato alcun avvertimento, non è stata fornita alcuna notizia. Sono stati uccisi a sangue freddo all’interno dei locali della Parrocchia, dove non ci sono guerriglieri.
Nelle prime ore della mattina, un razzo lanciato da un carro armato dell’IDF ha preso di mira il Convento delle Suore di Madre Teresa (Missionarie della Carità). Il Convento ospita oltre 54 disabili e fa parte di un complesso di edifici religiosi, segnalato come luogo di culto fin dall’inizio della guerra. Gli edifici con il generatore (l’unica fonte di elettricità) e le scorte di carburante sono stati distrutti. La casa è stata danneggiata dall’esplosione e dall’incendio conseguente. Altri due razzi, lanciati da un carro armato dell’IDF, hanno colpito il convento medesimo e hanno reso la casa inagibile. Le 54 persone disabili sono attualmente sfollate senza accesso ai respiratori, di cui alcuni di loro hanno bisogno per sopravvivere. Inoltre, a seguito dei pesanti bombardamenti avvenuti nella zona, la notte scorsa tre persone sono rimaste ferite all’interno degli ambienti della chiesa. Infine sono stati distrutti i pannelli solari e le cisterne per l’acqua, indispensabili per la sopravvivenza della comunità.
Insieme nella preghiera con tutta la comunità cristiana, esprimiamo la nostra vicinanza e il nostro cordoglio alle famiglie colpite da questa insensata tragedia. Allo stesso tempo, non possiamo tacere che non riusciamo a comprendere le ragioni di un simile attacco, tanto più che tutta la Chiesa si prepara al Natale. Il Patriarcato latino di Gerusalemme segue con grande attenzione questa situazione che sta evolvendo in modo preoccupante e fornirà ulteriori informazioni, se necessario.
Oggi, 20 novembre 2023, si celebra la Giornata Mondiale dei Diritti dei Bambini. Tuttavia, a Gaza, si sta verificando una grave crisi umanitaria a causa degli attacchi militari israeliani, con oltre 5.000 bambini uccisi e molte altre vite in pericolo.
Se lavori o hai lavorato come insegnante nella scuola italiana di qualsiasi ordine e grado, sia essa pubblica o privata, con qualunque tipo di contratto, unisciti all’appello (clicca sulla foto).
Questa operazione militare ha prodotto in meno di due mesi oltre 15.523 mortз e 1.900.000 sfollatз (UNRWA, 04/12/23) [1], perpetrando crimini di guerra tra i quali colpire intenzionalmente strutture civili, stampa, scuole e ospedali. Ne è scaturita un’ondata di indignazione internazionale, seguita da storiche mobilitazioni globali in solidarietà con la Palestina e il suo popolo che non possono essere ignorate.
Invitiamo i soggetti singoli, i collettivi, le realtà indipendenti e le istituzioni che costituiscono il settore artistico e culturale italiano, a sottoscrivere con noi questa lettera, impegnandosi rispetto alle istanze che seguono:
1.
Esprimiamo la nostra solidarietà al popolo palestinese e il nostro sostegno alla sua lotta per la giustizia, la liberazione e l’auto-determinazione, riconoscendo che a essere negato da Israele è il suo stesso diritto di esistere.
2.
Denunciamo le politiche nazionali che, a partire dall’astensione durante la votazione all’Assemblea Generale dell’ONU in merito alla risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza (27/10/23) [2] a oggi, hanno dimostrato una grave combinazione di indifferenza e complicità nei confronti del genocidio in atto, e un’inaccettabile difesa delle politiche militariste e coloniali di Israele.
3.
Riconosciamo che il massacro in corso è solo l’ultima tappa di una più ampia strategia di pulizia etnica, promossa dalle politiche sioniste e sviluppata nel corso dei 75 anni di occupazione coloniale, privando il popolo palestinese dei suoi diritti, sotto un regime di vero e proprio apartheid (Amnesty International, 2022) [3], con ripetute e impunite violazioni delle leggi internazionali e delle risoluzioni ONU.
4.
Rifiutiamo il doppio standard e l’empatia selettiva con cui le istituzioni politiche e i media mainstream stanno rendendo invisibile, di fatto negandolo, il genocidio della popolazione palestinese e sopprimendo ogni critica alla brutalità del governo israeliano.
5.
Rifiutiamo l’accusa di antisemitismo a ogni prospettiva critica nei confronti del progetto coloniale israeliano. Denunciamo ogni forma di antisemitismo, islamofobia, insieme a ogni altra forma di discriminazione razziale, etnica, religiosa e culturale.
6.
Negli ultimi anni il nostro settore ha visto crescere discorsi, pratiche e programmazioni dedicati alle forme di oppressione sistemica, sull’antirazzismo, sull’anticolonialismo, sul transfemminismo, sui diritti umani e sulla trasformazione sociale. Rivendichiamo questo processo di coscientizzazione come la base etica e politica da cui partire per esprimere il nostro impegno. Richiediamo l’assunzione di responsabilità da parte di chi ha beneficiato di questo processo, capitalizzando su soggettività, identità e corpi oppressi e marginalizzati, affinché prenda posizione sulla situazione in atto. Non esistono teorie politiche senza pratiche politiche e assunzione di responsabilità pubblica. Ci impegniamo da oggi a monitorare le posizioni adottate in risposta al genocidio in corso e alla dominazione coloniale di Israele, così come di tutte le altre.
7.
Prendiamo parola con una prospettiva dichiaratamente intersezionale, rifiutando la strumentalizzazione di un gruppo di soggetti marginalizzati allo scopo di legittimare l’oppressione di un altro. Denunciamo la retorica di Israele come “unica democrazia del Medio Oriente”, che giustifica il suo progetto coloniale strumentalizzando le politiche di integrazione rivolte alle comunità LGBTQI+ come segno di democrazia. I sistemi di oppressione sono interconnessi, nessunə è liberə finché non siamo tuttз liberз. Riconosciamo inoltre la strategia di soft power svolta negli anni dai governi di Israele nel promuovere e finanziare istituzioni artistiche e culturali. Non può esserci cultura critica e arte indipendente in un contesto di occupazione.
8.
Chiediamo ai soggetti singoli, ai collettivi, alle realtà indipendenti e alle istituzioni culturali (nelle figure dellз loro presidenti e/o direttorз) di unirsi a noi nel prendere posizione per esigere un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza; l’ingresso di aiuti umanitari; la fine dell’occupazione israeliana sul territorio palestinese come richiesto dallз espertз indipendenti dell’ONU (16/11/23) [4].
9.
Invitiamo a supportare i movimenti di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni allo Stato di Israele e a boicottare, secondo le proprie possibilità, le aziende e le organizzazioni che supportano il suo progetto coloniale, incluse le istituzioni culturali, a cui chiediamo trasparenza rispetto ai rapporti che intrattengono con Israele.
Aumentano, nel sistema artistico occidentale, azioni di stigmatizzazione, intimidazione e censura nei confronti di lavoratorз culturali e organizzazioni che si sono espresse contro le atrocità perpetrate dal governo israeliano. Allз lavoratorз dell’arte, solidali con la causa palestinese e desiderosз di prendere posizione pubblicamente, ma intimoritз dalle possibili ripercussioni sulla loro vita e sul loro lavoro, diciamo: non siete solз. AWI – Art Workers Italia e il Campo Innocente si impegnano, con i mezzi di monitoraggio e pressione politica a nostra disposizione, a supportare lз lavoratorз nella tutela della loro autonomia di pensiero ed espressione. Parallelamente, AWI sta lavorando per identificare un punto di riferimento in Italia per supportarlз dal punto di vista legale. Nel mentre, segnaliamo l’European Legal Support Center [5], organizzazione che difende legalmente chi subisce censura e intimidazioni.
Leggeremo, pubblicheremo, diffonderemo questa lettera in ogni modo e in ogni occasione pubblica che ci vedrà coinvoltз.
Il 30 novembre, il governo israeliano ha ripreso l’assalto genocida inflitto ai palestinesi di Gaza, dopo una tanto attesa ma breve “pausa umanitaria”. Così facendo, Israele ha ignorato le proteste popolari mondiali nonché i ferventi appelli delle autorità morali, religiose e politiche di tutto il mondo a trasformare la pausa dello scambio di ostaggi/prigionieri in un cessate il fuoco permanente.
L’intenzione principale era quella di evitare che la situazione della popolazione di Gaza peggiorasse. Israele è stato esortato a scegliere la strada della pace non solo per ragioni umanitarie ma anche per raggiungere una reale sicurezza e rispetto sia per i palestinesi che per gli israeliani.
Eppure ora i corpi si stanno nuovamente accumulando, il sistema medico di Gaza non può più offrire cure alla maggior parte dei feriti e le minacce di fame e malattie diffuse si intensificano ogni giorno.
Date le circostanze, la presente Dichiarazione invita non solo a denunciare l’assalto genocida di Israele, ma anche ad adottare misure efficaci per prevenirne permanentemente il ripetersi. Ci uniamo per l’urgenza del momento, che obbliga gli intellettuali globali a opporsi all’orribile calvario in corso in cui versa il popolo palestinese e, soprattutto, a implorare l’azione di coloro che hanno il potere, e quindi la responsabilità, di farlo. . Il continuo rifiuto da parte di Israele di un cessate il fuoco permanente intensifica le nostre preoccupazioni.
Molte settimane di crudele devastazione causata dalla risposta enormemente sproporzionata di Israele all’attacco del 7 ottobre, continuano a mostrare la furia vendicativa di Israele. Quella furia non può in alcun modo essere giustificata dall’orrenda violenza di Hamas contro i civili in Israele o dalle inapplicabili pretese di autodifesa contro una popolazione occupata.
“Nelle ultime due settimane e mezzo, abbiamo assistito a orrori inimmaginabili e su vasta scala in Israele e nei Territori palestinesi occupati. Più di due milioni di persone nella Striscia di Gaza stanno lottando per sopravvivere a una catastrofe umanitaria con un numero di vittime civili senza precedenti. Oltre 6546 persone sono state uccise a Gaza e almeno 1400 in Israele, mentre migliaia sono rimaste ferite. Più di 200 persone sono state prese in ostaggio da Hamas. Gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, compresi crimini di guerra, da parte di tutte le parti in conflitto continuano senza sosta. Di fronte a una devastazione e sofferenza tali, la vita dei civili deve essere posta al centro”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“È necessario agire urgentemente per proteggere i civili e prevenire un’ulteriore inimmaginabile livello di sofferenza umana. Sollecitiamo tutti i membri della comunità internazionale a unirsi per chiedere un cessate il fuoco immediato a tutte le parti coinvolte nel conflitto”, ha ribadito Callamard.
Amnesty International si unisce all’appello per un cessate il fuoco della Relatrice speciale per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, delle agenzie dell’Onu attive in Palestina e di numerosi esperti sui diritti umani, rappresentati da una vasta gamma di procedure speciali dell’Onu. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite e l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite si sono uniti a questa richiesta.
A seguito degli atroci attacchi nel sud di Israele del 7 ottobre, durante i quali Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno ucciso – secondo le autorità israeliane – almeno 1400 persone e ne hanno prese in ostaggio oltre 200, per la maggior parte civili, le forze armate israeliane hanno condotto migliaia di attacchi aerei e via terra nella Striscia di Gaza. Secondo i dati del ministero della Salute palestinese a Gaza, questi attacchi hanno causato la morte di più di 6546 persone, prevalentemente civili, tra cui almeno 2704 tra bambini e bambine. Il numero dei feriti supera le 17439 persone, mentre oltre 2000 corpi rimangono intrappolati sotto le macerie. Tutto ciò avviene mentre il settore sanitario versa in una situazione disperata.
L’imminente offensiva via terra da parte delle forze israeliane nella Striscia di Gaza è destinata ad avere conseguenze catastrofiche per i civili, così come preannunciato dalle inquietanti minacce fatte dall’esercito israeliano ai civili rimasti nel nord di Gaza. Anche i civili in Israele continuano a essere sotto l’attacco di razzi indiscriminati da parte di Hamas e altri gruppi armati palestinesi di Gaza.
“Di fronte all’aggravarsi di una catastrofe umanitaria senza precedenti a Gaza, un immediato cessate il fuoco di tutte le parti in conflitto è essenziale per consentire alle organizzazioni umanitarie di far arrivare sufficienti aiuti nella Striscia di Gaza, in modo sicuro e incondizionato. Il cessate il fuoco consentirebbe inoltre agli ospedali di ricevere i medicinali, l’acqua e le attrezzature salvavita di cui hanno disperatamente bisogno, nonché di riparare i reparti danneggiati”, ha aggiunto Callamard.
“Un cessate il fuoco immediato è anche il modo più efficace per proteggere i civili, poiché le parti in conflitto continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani. Preverrebbe l’aumento del bilancio delle vittime civili e garantirebbe una sicura liberazione degli ostaggi”, ha proseguito Callamard.
Amnesty International ha documentato prove di crimini di guerra commessi sia dalle forze armate israeliane che da Hamas e altri gruppi armati palestinesi. Il cessate il fuoco permetterebbe lo svolgimento di indagini indipendenti, da parte della Corte penale internazionale e della Commissione indipendente d’inchiesta sui Territori palestinesi occupati, sulle violazioni dei diritti umani e sui crimini di guerra commessi da tutte le parti coinvolte. La loro azione è fondamentale per porre fine all’impunità di lunga data per i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, nonché per garantire giustizia e riparazione alle vittime.
Questi sono aspetti cruciali per prevenire il ripetersi di tali atrocità e per affrontare le cause profonde del conflitto, come il sistema di apartheid imposto da Israele a tutti i palestinesi.
Amnesty International ribadisce anche le sue richieste:
Ulteriori informazioni
Amnesty International ha evidenziato, attraverso le sue ricerche, come il 7 ottobre Hamas e altri gruppi armati palestinesi provenienti dalla Striscia di Gaza abbiano lanciato razzi indiscriminati su Israele e inviato uomini armati che hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, come uccisioni di civili e sequestri di ostaggi, che costituiscono crimini di guerra.
L’organizzazione per i diritti umani ha inoltre documentato prove schiaccianti di crimini di guerra da parte delle forze israeliane nella loro offensiva contro Gaza, tra cui attacchi indiscriminati e punizioni collettive, che hanno provocato un elevato numero di vittime civili, distrutto intere famiglie e aree residenziali. Queste violazioni devono essere indagate come crimini di guerra.
Noi palestinesi e amici della Palestina porgiamo la mano a tutti coloro che hanno detto no alla guerra e che hanno condannato il terrorismo in tutte le sue forme. In modo particolare la porgiamo ai cittadini israeliani (purtroppo ancora una minoranza) e a tutti gli ebrei nel mondo che non hanno concesso il loro nome ai criminali di guerra.
La carneficina in corso contro il popolo palestinese, la pulizia etnica antica e recente, la colonizzazione e le spedizioni terroristiche dei coloni contro la popolazione autoctona, come lo sradicamento degli alberi, la distruzione delle case e la confisca della terra, oltre ad abbattere ogni ponte di dialogo, ledono gravemente l’immagine e la storia di tutta una comunità e rilanciano di nuovo l’antisemitismo, che offende ogni popolazione di origine semita, quella ebraica come quella palestinese. E, nei fatti, rendono Israele il luogo meno sicuro per la popolazione ebraica e per tutti i suoi cittadini.
La battaglia per la libertà del popolo palestinese è la stessa battaglia per la libertà della popolazione ebraica e della nostra libertà.
Lo Stato può diventare una gabbia. Il nazionalismo è stato il cancro della modernità. La fratellanza è un vasto spazio di umanità libera. Per questo non vogliamo rinunciare al sogno di un unico paese fondato sullo stato di diritto e sull’uguaglianza delle persone a prescindere dalla loro appartenenza e dal loro credo religioso. Siamo ancora in tempo. Iniziamo con il cessate il fuoco e poi cominciamo a guardare alla Mezzaluna fertile del Mediterraneo con altri occhi.
In quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un’immediata fine alla guerra in corso contro Gaza. Riteniamo sia nostro dovere individuale, comunitario e accademico, dissociarsi dalle posizioni finora intraprese dal governo del nostro Paese, ed assumerci la responsabilità di azioni e richieste per contrastare il crescente livello di violenza al quale stiamo assistendo impotenti. Rivolgiamo questo appello al nostro ministro degli Esteri, perché si mobiliti per richiedere e sostenere un immediato cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari e la protezione delle Nazioni Unite per l’intera popolazione palestinese. Rivolgiamo questo appello alla ministra dell’Università e della Ricerca ed alla CRUI, perché possano amplificare le nostre voci e le nostre richieste, ricordando la missione centrale delle nostre istituzioni accademiche rivolta alla produzione di conoscenza e rispetto dei diritti umani.
Come docenti, ricercatori e ricercatrici della comunità accademica e di ricerca italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid [1]. Ancora una volta, ci sentiamo atterriti e angosciati dal genocidio che sta accadendo a Gaza, definito a ragione dalla scrittrice Dominque Eddé come ‘un abominio che bene esemplifica la sconfitta senza nome della nostra storia moderna’ [2].
Da tre settimane, a seguito delle brutali azioni perpetrate da Hamas il 7 ottobre che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone (la maggior parte dei quali civili) e portato al rapimento di circa 200 ostaggi [3], assistiamo a massicci e indiscriminati bombardamenti condotti dall’esercito di Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, che si configura come una punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata in un territorio di poco più di 360 km2 [4]. Mentre scriviamo, a Gaza il bilancio delle persone uccise supera i 9.000 morti, di cui 3.760 bambini, circa 22.900 feriti e 1.400.000 sfollati [5]. Secondo le Nazioni Unite, allo stato attuale sono circa 2.000 le persone disperse, presumibilmente intrappolate o uccise sotto le macerie [5,6]. Interi quartieri abitati, ospedali, scuole, moschee, chiese e intere università (Islamic e Al-Azhar University tra le più grandi e rinomate) sono state completamente rase al suolo [5,7]. Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano.
Questa situazione ha reso ancora più grave e urgente la crisi sanitaria e umanitaria all’interno della Striscia di Gaza, già al collasso ben prima del 7 ottobre 2023 per via dei 16 anni di quasi totale embargo e assedio illegale imposto dall’esercito israeliano su Gaza [8]. Assedio ed embargo che il governo israeliano ha inasprito dal 7 ottobre, imponendo un blocco totale di beni essenziali per la sopravvivenza quali acqua, carburante, cibo e elettricità [9,10,11,12]. All’interno di questa catastrofe umanitaria e sanitaria senza precedenti, anche per le Nazioni Unite e per le organizzazioni internazionali risulta pressoché impossibile operare a supporto della popolazione civile. L’Association Jewish for Peace ha chiamato tutte “le persone di coscienza a fermare l’imminente genocidio dei palestinesi” ( https://www.jewishvoiceforpeace.org/2023/10/11/statement23-10-11/). Già il 25 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di non essere in grado di distribuire carburante e forniture sanitarie essenziali e salvavita agli ospedali nel Nord di Gaza per via dei continui bombardamenti israeliani [9,10]. La quantità di beni di prima necessità e soccorso che Israele ha permesso di far transitare a Gaza il 21 ottobre è stata dichiarata sufficiente a mantenere in funzione solo alcuni ospedali e ambulanze per poco più di 24 ore [13, 14] . Secondo l’UNICEF “Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambini” [15]
Inoltre, l’escalation di violenza si è estesa anche in Cisgiordania, con violenze e aggressioni quotidiane, numerose vittime ed espulsioni di intere famiglie dalle loro case e terre. Diversi sono i report delle Nazioni Unite che denunciano come dal 7 ottobre l’esercito israeliano abbia attaccato diverse aree della West Bank, causando la morte di almeno 96 palestinesi, e ferendone circa 1.800. Di questi, due sono bambini, e molti altri giovani adolescenti [16, 17]. Inoltre, 74 famiglie (circa 600 persone) appartenenti a 13 comunità di pastori e beduini nei territori palestinesi sono state espulse dalle loro terre, sei scuole e 1875 studenti sono stati colpiti durante gli attacchi [16, 17].
Tutto questo costituisce una evidente violazione del Diritto Internazionale e della Convenzione di Ginevra.
In tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione raziale ed etnica [1, 18, 19, 20]. Comprendere e analizzare queste determinanti è l’unica possibilità per poterne riconoscere le radici, contrastare l’escalation e sperare e reclamare pace e sicurezza per tutti.
È fondamentale ricordare come riconoscere il contesto da cui nasce quest’ultima ondata di violenza non significa sminuire il dolore e la sofferenza delle vittime israeliane e palestinesi, ma costituisce il cruciale impegno per sostenere la dignità, la salute ed i diritti umani di tutte le parti coinvolte. È possibile e necessario condannare le azioni di Hamas e, al contempo, riconoscere l’oppressione storica, disumana e coloniale che i palestinesi stanno vivendo da 75 anni. Come affermato dall’organizzazione pacifista Jewish Voice for Peace [21, 22], l’escalation a cui assistiamo rappresenta l’ennesimo esempio di come gli attacchi coloniali e illegali perpetrati da Israele contro la polazione palestinese costituiscano un rischio per la vita di tutti coloro che vivono nella regione, siano essi israeliani o plaestinesi.
In qualità di accademici e accademiche italiane riteniamo che sia nostro dovere e responsabilità attivarci e contribuire a contrastare queste escalation di violenza e sostenere i diritti umani, la salute, la dignità e il benessere. Crediamo fortemente che l’unico modo per promuovere una coesistenza pacifica sia lavorare insieme per denunciare e porre fine al prolungato assedio di Gaza e all’occupazione illegale (in ottemperanza con la legge internazionale) dei territori palestinesi.
Pertanto,
Crediamo che queste azioni siano irrimandabili sia per contribuire a ripristinare i diritti umani e la giustizia globale sia per non continuare ad essere spettatori conniventi e silenziosi di una tragedia umanitaria e della cancellazione del popolo palestinese.
Al momento in cui scriviamo, sono 28 le giornaliste e i giornalisti uccisi secondo l’Ong Committee to Protect Journalists (CPJ), tra cui 23 palestinesi, 4 israeliani e un libanese. Decine di altri sono rimasti feriti. Una delle prime vittime aveva 22 anni. Ibrahim Lafi è stato ucciso il 7 ottobre 2023 mentre seguiva per Ain Media l’attacco di Hamas al valico di Erez. Indossava un giubbotto antiproiettile blu su cui era scritto ciò che avrebbe dovuto salvare la vita: “Press”. Il giovane Gazawi era noto ai media europei. Tra gli altri aveva lavorato per Médiapart e Politis in Francia.
Il 13 ottobre nel sud del Libano, sono stati i giornalisti di Agence France Presse, Reuters e Al-Jazeera ad essere colpiti da due colpi di artiglieria sparati a breve distanza dall’Esercito israeliano mentre coprivano gli scontri al confine con Hezbollah. Anche loro erano chiaramente identificabili come giornalisti. Issam Abdallah, 37 anni, giornalista della Reuters, è morto sul colpo. Sei dei suoi colleghi sono rimasti feriti.
Il 19 ottobre, un attacco aereo ha distrutto una tenda temporanea che ospitava squadre della BBC, Reuters, Al Jazeera, AFP e agenzie di stampa locali, vicino all’ospedale Nasser di Khan Younis.
Domenica 22 ottobre, è toccato al fotoreporter Roshdi Sarraj, ucciso in un bombardamento a Gaza City mentre usciva dalla casa dove aveva trovato rifugio con moglie e figlia. Anche Roshdi aveva lavorato per molti media europei, tra cui Radio France e Ouest-France.
E l’elenco purtroppo non termina qui.
Mentre la comunità internazionale non riesce a imporre un cessate il fuoco, e l’Esercito israeliano ha deciso di estendere le operazioni di terra nella Striscia di Gaza, il numero di giornalisti uccisi rischia fortemente di aumentare. In questo clima di terrore, molte colleghe e colleghi non sono più in grado di lavorare dal punto di vista psicologico, paralizzati all’idea di apprendere che la loro famiglia è stata decimata in un bombardamento.
Come nel caso del nostro collega Wael Al-Dahdouh. Il 25 ottobre, mentre seguiva un bombardamento in diretta sul canale televisivo Al Jazeera, ha ricevuto la notizia della morte della moglie e dei suoi due figli. Nonostante il terribile lutto, Wael Al-Dahdouh è tornato subito in onda per continuare il suo lavoro, la sua missione di fare informazione.
Noi giornalisti occidentali, a cui il governo israeliano e quello egiziano hanno negato la possibilità di recarci sul posto, non possiamo rimanere impotenti di fronte a una tale situazione. Proteggere i giornalisti significa proteggere la libertà di stampa, un cardine costantemente sotto attacco, ma indispensabile delle democrazie. In tempo di guerra, di fronte a operazioni di propaganda su tutti i fronti, l’informazione è al centro della battaglia. “La prima vittima di una guerra è la verità”. Se questo adagio è vero per ogni conflitto, lo è ancor di più a Gaza.
È necessario ricordarlo? Uccidere i giornalisti che non prendono parte al conflitto costituisce un crimine di guerra ai sensi delle disposizioni dell’articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Le nostre colleghe e i nostri colleghi sono stati deliberatamente presi di mira? Chiediamo che venga aperta un’inchiesta indipendente e trasparente sulle circostanze della loro morte.
Restano i vivi, quelli senza i quali non potremmo vedere né comprendere le conseguenze dei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Se quelle giornaliste e quei giornalisti che sono i nostri occhi e le nostre orecchie scomparissero, saremmo sordi e ciechi, e la Striscia di Gaza diventerebbe un buco nero dell’informazione, un blackout mediatico imposto da Israele, per usare l’espressione di Reporter senza Frontiere.
Da quando molti media sono stati completamente o parzialmente distrutti a Gaza ad opera dell’aviazione israeliana, alle nostre colleghe e ai nostri colleghi palestinesi mancano i mezzi per documentare il loro lavoro. Senza batterie per le loro fotocamere, senza computer o mezzi di comunicazione affidabili, ci sono alcuni che hanno perso tutto. Altri hanno dovuto rinunciare a tutto dopo aver ricevuto ordine dall’Esercito israeliano di lasciare i loro appartamenti il prima possibile. Dal 28 ottobre 2023, i giornalisti di Gaza spesso non hanno più alcuna connessione internet, oltre ad avere poca possibilità di ricaricare le loro attrezzature. Ciò costituisce un ulteriore ostacolo al lavoro della stampa in un territorio in cui la libertà di informazione è già sistematicamente violata da Hamas e dai suoi alleati.
Facciamo appello alle autorità e agli organismi internazionali di chiedere con maggiore fermezza la protezione e la libertà di movimento delle nostre colleghe e colleghi palestinesi che si trovano sotto assedio.
Dopo 16 anni di blocco, la Striscia di Gaza è sotto assedio totale dal 10 ottobre. Nessuno può più entrare o uscire dall’enclave palestinese. Siamo riusciti a raccogliere le testimonianze delle vittime dell’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, ma dobbiamo essere in grado di lavorare in sicurezza per raccontare ciò che sta accadendo a Gaza. Nell’estate del 2014, l’Esercito israeliano aveva consentito l’accesso alla stampa internazionale, garantendo così la nostra libertà di informazione. Oggi però non è più così. Lasciateci entrare nella Striscia di Gaza per fare il nostro mestiere. Siamo consapevoli dei rischi.
Appello lanciato da Orient XXI e sottoscritto dai giornalisti della stampa francese e francofona. Orient XXI – Italia si unisce e rilancia, invitando la stampa italiana a sottoscriverlo.
Ci troviamo di fronte a una situazione drammatica che richiede il nostro intervento immediato. La stampa internazionale rivolge una richiesta urgente a Israele: consentire l’accesso a Gaza per coprire una guerra di importanza vitale per i nostri Paesi e il nostro futuro. Questa non è solo una richiesta per noi giornalisti, ma un appello in difesa dei principi fondamentali che stanno alla base di ogni società libera e democratica.
La libertà di parola, l’importanza della copertura giornalistica in tempo di guerra, il diritto di informare e di essere informati sono i pilastri su cui si fonda la nostra società. Questi principi non conoscono confini nazionali, razze o religioni. Sono principi universali e rappresentano l’anima stessa della nostra civiltà.
Sosteniamo il diritto fondamentale dei giornalisti di lavorare in sicurezza a Gaza, dove molti dei nostri colleghi hanno tragicamente perso la vita mentre cercavano di comunicare notizie al mondo.
La guerra in corso a Gaza è una questione che coinvolge non solo Israele e la regione, ma anche il destino di tutti noi, ovunque ci troviamo. È una guerra che influenza il nostro futuro, che sta plasmando il mondo in cui cresceranno le prossime generazioni. Eppure, ci troviamo in una posizione in cui siamo costretti a non poter raccontare questa storia drammatica. Non si tratta solo di un’ingiustizia nei confronti dei giornalisti, ma di un’ingiustizia nei confronti di tutti i cittadini del mondo.
La libertà di espressione è un diritto sacrosanto che protegge la democrazia, la giustizia e la verità. Il diritto di raccontare una guerra è una responsabilità che dobbiamo alla storia e alle generazioni future. Senza di esso, la nostra capacità di comprendere, valutare e impegnarci nei dibattiti critici alla base del nostro futuro sarebbe gravemente compromessa.
Chiediamo a Israele di consentire alla stampa internazionale l’accesso a Gaza, per permetterci di adempiere al nostro dovere di informare e di assicurare al mondo una visione completa e accurata di ciò che sta accadendo. Questa richiesta non è solo nel nostro interesse, ma nell’interesse di tutti coloro che credono nei valori della democrazia, della verità e della giustizia.
Chiediamo a Israele di consentire la copertura giornalistica di questa guerra cruciale. La nostra libertà e il nostro futuro dipendono da questo.
La guerra di annientamento intrapresa dal nemico criminale contro il nostro popolo prende di mira tutta la Palestina e tutto il nostro popolo, e non è iniziata il 7 ottobre.
Fuor della culla che dondola senza posa,
Fuor della gola – spola musicale – dell’uccello
motteggiatore,
Fuor della mezzanotte del nono mese,
Sulle sabbie sterili e sui campi al di là da esse,
dove il fanciullo lasciando il letto, vagava solitario,
nudo il capo, nudo i piedi;
Sotto allo spiovente alone…
morte, morte, morte, morte.
Walt Whitman
Walt Whitman
Nonostante la portavoce della croce rossa a Gerusalemme ha dichiarato la grave carenze di medicinali e tutto il materiale sanitario necessario per svolgere le operazioni chirurgici sottolineando che gli interventi chirurgici vengono eseguiti senza anestesia. il ministro della cultura israeliano incita l’esercito israeliano a usare la bomba nucleare per liberarsi di Gaza.
Noi medici italiani di origini palestinesi condanniamo il comportamento dei medici israeliani che si contrappone al minimo di Etica professionale comune che distingue la professione medica e il giuramento di Ippocrate.
Ci appelliamo agli ordini dei medici e ai medici italiani di interrompere la collaborazione con i medici israeliani che non rispettano tutte le convenzioni professionale e l’etica. I civili sono da sempre protetti da accordi e convenzioni e vengono violati sotto gli occhi del mondo intero.
Basta uccidere i bambini e le donne. Fermiamo questo massacro, aiutiamo i civili ad avere il necessario per sopravvivere a questo vile attacco.
A tutte le persone onorevoli della nostra nazione e alle persone libere del mondo
Di fronte al fiume di sangue che scorre a Gaza, le parole sono diventate inutili: sollevarsi, resistere, assaltare le ambasciate dei paesi aggressori, incendiarle, distruggerle. Chiedere la cessazione delle forniture di petrolio e gas ai paesi coinvolti nell’aggressione.
Il tempo è fatto di sangue e la storia non perdona… State certi che il popolo palestinese non vi abbandonerà.
Popolo libero, il nemico fascista cerca vendetta sul campo di Jabalia, così come sul campo di Nuseirat e sul campo di Shati, commettendo atroci massacri che superano le atrocità commesse dai nazisti nella loro oscura storia.
Sei tonnellate di bombe americane distruttive. Una tragedia scolpita nella coscienza dell’umanità. Chi tace su questo assassino è complice del genocidio e della privazione dei palestinesi della loro umanità.
Un’entità moralmente, politicamente e militarmente sconfitta che cerca di ottenere la vittoria a scapito del nostro sangue palestinese.
Il campo di Jabalia, la misericordia della rivoluzione e il simbolo della resistenza e della fermezza palestinese, è in prima linea nella battaglia per l’onore sulla linea del dovere. È uno spirito caratterizzato da resilienza, fermezza e grande coraggio.
Il nemico, con la sua campagna di terra, cerca di nascondere i suoi inevitabili fallimenti con massacri e massacri contro i civili palestinesi. Rendo omaggio agli uomini della resistenza nelle loro diverse formazioni che affrontano questa aggressione, e ai figli resilienti del nostro popolo che rifiutano i piani di sfollamento nonostante il genocidio intrapreso contro di loro dal nemico.
La grande Gaza con le stature dei suoi eroi e il sangue dei suoi figli, è le nostre radici nelle profondità della terra. Risorgerà da sotto le ceneri.
Le condanne verbali non abbattono gli aerei né impediscono che i razzi cadano sulle teste degli innocenti. Pertanto chiediamo:
– Espellere gli ambasciatori dell’aggressore.
– Un grido di rabbia e dignità a tutte le strade arabe per fermare il pompaggio di petrolio e gas verso i paesi coinvolti nell’aggressione.
– È tempo di chiudere le basi militari americane nei paesi arabi.